PD e logiche valutative

Fra le molte cose che si sono scritte dopo le elezioni politiche del 4 marzo scorso mi vorrei inserire per una considerazione ulteriore. Mi pare pressochè assente nei commenti che leggo (e devo dire che certo non ne ho letta che una parte, vista la quantità pubblicata sui diversi e più o meno autorevoli canali) una valutazione seria dei risultati politici ottenuti dal quinquennio di governo a guida PD che si è concluso da un mesetto. Voglio dire che il giudizio su ciò che si è fatto non è dato dal voto, che invece orienta rispetto al futuro parlamentare e governativo del paese dando al PD un ruolo minoritario.

Il voto parla di cosa il popolo vuole a partire da ciò che oggi siamo, non costituisce quindi affatto, a mio parere, una bocciatura di ciò che si è fatto ma anzi, paradossalmente, si basa su questo.

E' un po' come per un matrimonio. Se dopo un tot di anni una coppia si separa questo non è un fallimento ma significa che da quel momento in poi essa, più o meno concordemente, ritiene di poter fare meglio nel futuro in un altro assetto relazionale.

Troppo spesso prevale invece un'idea depressiva e auto-eco colpevolizzante che, per i matrimoni e ancor più irrealisticamente per i governi, sembra basarsi su un'impossibile continuità a tempo indeterminato. Come se ci domandassimo 'Perchè è finita?' 'Abbiamo sbagliato tutto se ci hanno bocciato?' Mentre vorrei proporre l'idea che nel tempo che è durato un governo ha fatto cose che potrebbero essere state ottime, o meno, ma che è da oggi in poi e magari anche grazie a ciò che è stato fatto, che si ritiene di voler scegliere soluzioni diverse fra quelle presenti nel menù elettorale.

Questa prospettiva implica tuttavia di introdurre un approccio alla valutazione dell'operato politico che lo guardi come un'azione complessa in un contesto complesso e che ne metta in luce sia i vincoli e le possibilità che il contesto ha offerto, sia i vincoli e le possibilità interne al sistema governante stesso.

Naturalmente questa analisi richiede quindi, se partiamo dall'esterno, di considerare, ad esempio, l'andamento economico mondiale ed il suo trend (sul quale abbiamo una modesta incidenza come paese), il decorso delle vicende politiche europee (che sono un contesto prossimale importante per l'Italia e sul quale è da valutare il peso del nostro ruolo), eventi accidentali di segno positivo o negativo che possono aver inciso sull'impiego di risorse (per esempio catastrofi naturali sull'insorgenza delle quali il governo ed il parlamento passato potrebbero aver avuto assai poca possibilità d'incidenza).

All'interno di queste ed altre variabili va poi valutato, dicevamo, l'operato del governo inteso come sistema complesso.

La semplificazione che addita, come eroe o come colpevole, il capo del governo e/o il capo del partito di maggioranza relativa, come autori di tutto ciò che si è prodotto sul piano politico nella passata legislatura è evidentemente una caricatura della realtà. Una caricatura che però è funzionale oggi all'individuazione di un capro espiatorio che si prenda le colpe del (presunto e ingiustificato, come dicevamo) fallimento, come in passato si è preso i meriti del rilancio, del cambiamento, etc.

L'azione politica quindi richiede di essere valutata all'interno dei vincoli esterni, già sommariamente citati, ed interni sempre presenti in un organismo non monocratico ma, appunto, democratico e in uno stato dotato di sistemi decisionali ed influenze molteplici che incidono sui processi attuativi di provvedimenti e prima ancora, naturalmente, sulle decisioni stesse.

Fuori dalle semplificazioni è bene ricordare che la compagine governativa è stata costituita da diversi partiti e che su molte questioni chiave, come è ovvio che sia, il dibattito e le conflittualità politiche sono state molto alte.

Fatte queste premesse, non secondarie, la valutazione dell'operato di un leader e di un'azione politica di un governo richiede la messa in luce delle idee guida che hanno ispirato questa azione e di come esse l'anno inverata e solo dopo dunque la valutazione del risultato ottenuto.

Voglio dire che se la prospettiva teorica, la visione delle relazioni umane e delle organizzazioni, è, per esempio, all'insegna dell'inclusione, le politiche relative alla migrazione, ma anche ad altri numerosi aspetti che riguardano la relazione con la diversità, saranno all'insegna di questa prospettiva. Se invece saranno all'insegna di un equilibrio fra 'società aperta' e 'società chiusa', per dirla popperianamente, le politiche prodotte saranno non poco diverse.

Questo ci consente di ragionare sui presupposti ideali e poi di arricchire la discussione con i dati di esito.

Lo stesso vale per ogni altro ambito politico, per esempio la politica formativa e dunque scolastica, quella sanitaria, quella fiscale, etc provando dunque ad uscire da una logica eroe/colpevole e a muoversi su un piano maggiormente serio ed utile per il futuro, che è ciò che conta per la sinistra e per il paese.